2012, Agosto, Giovedì 16
“Un uomo di classe non parla mai”, sentenziava il sarto di Ugo Fantozzi.
È dagli inizi di giugno, poco dopo il mio ritorno a Valparaiso che questa frase mi frulla in testa. Potrei usarla come scusa per aver trasformato il mio diario in un lunario. Una bugia che i miei cinque lettori potrebbero benissimo dichiarare verità, checché io non sia d’accordo.
Sono di nuovo a Santiago. Schifo, freddo e stress. Sono qui con problemi al computer, il cui disco ha attacchi cronici di singhiozzo e imprevisti stati di catatonia. Ho già portato la cosa all’attenzione di mio zio Gigino che il mio note book l’ha visitato, smontato, rimontato, e ha diagnosticato un male incurabile da cui prendere riparo con un backup completo del disco.
Santiago, schifo, stress, computer rotto, zio… qualcuno ha sensazioni di deja-vu leggendo queste righe?
E oggi, a meno di una settimana dal mio arrivo a Santiago con mia nonna, ho assaporato già i primi conflitti con le mie zie filo fasciste.
Deja-vu?
Conflitti velati di diplomazia e trattenuti in una sorta di guerra fredda verbale, ma una veramente fredda. Così fredda, che sembra quasi ci stiamo scambiando calorosi saluti e cordialità. È il paradosso dell’ipocrisia intrafamiliare. Più vuoi essere freddo, più ti tocca essere caloroso per dimostrare che in realtà non ti frega niente del fatto che a loro non freghi niente. Se ti incazzi o metti su il muso e fai l’offeso e il distaccato, allora si scopre subito che in realtà ci tieni. Potrei scendere nei dettagli e nella concretezza nel narrare della situazione che si è andata formando con loro, ma “un uomo di classe non parla mai”.
Questa saggissima frase ha cominciato a ronzarmi in testa quando una sera di circa due mesi fa stavo quasi per mettermi a scrivere qualcosa sul mio diario. In tavola c’erano ancora i piatti sporchi di un pranzo domenicale, preparato insieme alla mia ospite che incontravo per la prima volta faccia a faccia. Potrei parlare del fatto che alla fine del pranzo (a metà pranzo, a dirla tutta…) insieme ai piatti sporchi c’erano anche due coppe e una bottiglia di vino rosso completamente svuotate. Ma “un uomo di classe non parla mai”. Oppure potrei parlare del fatto che prima del dessert ho invitato la mia ospite ad ammirare la vista panoramica dalle finestre al piano superiore e che, una volta lì, ho freddamente calcolato ogni mia parola e ogni mio gesto con in mente un obiettivo ben preciso, ma “un uomo di classe non parla mai”, e perciò non ne parlerò. Potrei invece parlare del fatto che prima che ritornassimo in sala da pranzo abbiamo soggiornato anche in altri ambienti della casa, ma anche in questo caso mi trovo, costretto dal mio buon gusto, a ricordare che “un uomo di classe non parla mai”. E allora diciamo subito che il dessert l’abbiamo mangiato un’ora abbondante dopo il secondo e potrei aggiungere anche il perché, se non fosse che “un uomo di classe non parla mai”.
Una domenica di giugno inoltrato (si ricordi sempre che giugno qui significa inverno), stessa ospite, quasi stesso copione, e stessi piatti sporchi e bottiglia vuota dello stessissimo vino rosso. Questa volta, nonostante io abbia evitato l’ormai inutile visita alla finestra panoramica, tra pranzo e dessert sono passate circa due ore. Due ore di cui, dato che “un uomo di classe non parla mai”, non posso dire niente se non il fatto che ho evitato – volutamente e con successo, ma anche senza bisogno di alcuno sforzo o impegno – di raggiungere certi “obiettivi” che un uomo, in certi momenti della propria vita, fa di tutto per raggiungere sì, ma si sforza anche affinché siano raggiunti non prima che sia trascorso un ragionevole e appropriato lasso di tempo. Dopo tutto, essere precoci non sempre è un vantaggio. Io questa volta ho voluto ostentare il fatto che addirittura, come dire, a traguardo non riuscivo proprio ad arrivarci.
E poi la sera, mentre eravamo davanti alla TV e la mia ospite parlava entusiasta di ripetere numerose volte delle attività che così bene si incastrano tra secondo e dessert, io non ho detto granché, perché “un uomo di classe non parla mai”, e soprattutto perché rimuginavo sul modo migliore in cui dire “sai, purtroppo come hai visto non c’è molta chimica, che in certe cose è fondamentale e, ahimè, la cosa non sta funzionando. Non è colpa tua, sono cose che capitano.” Pochi giorni dopo ho trovato il modo di dirlo, forse non proprio il migliore, e da allora non abbiamo più avuto modo di pranzare insieme.
Non ne abbiamo avuto modo sia perché le “motivazioni” non erano più le stesse, sia perché i miei fine settimana e i suoi sono stati impegnati con altre persone. Dei suoi non dirò nulla, perché anche se io non sono proprio un uomo di classe, meglio risparmiare lo spazio del mio diario per ciò che mi riguarda più direttamente.
I miei fine settimana dell’ultimo mese sono stati in effetti interessanti. Mio zio Gigino è venuto a Valparaiso con la famiglia per un fine settimana lungo, e così da scrittore eremita mi sono ritrovato subitaneamente con altre sei persone dentro casa. I miei zii, i miei tre cugini, e Constanza, “Conny”, la fidanzata di Gigi, il più grande dei miei cugini materni.
(To be continued…)