2012, Maggio, Mercoledì 16
(…continued)
Il 12 non è il giorno, è l’anno. Il giorno è il 5. E nel suo messaggio successivo il giorno è il 6. Mi aveva cercato due giorni di seguito sperando di parlare con me, magari per sentirmi prima di andare sotto i ferri, e quei messaggi non erano arrivati. E io non mi ero fatto sentire, non le avevo risposto per un’intera settimana, per poi scriverle lagnandomi che sentivo la sua mancanza. Ma sto elaborando questi ragionamenti solo ora che mi ritrovo a scrivere quello che è successo. Sul momento mi sono trattenuto a crogiolarmi nel suo “ti amo”.
E tanti saluti al fine settimana di depressione.
Facciamo colazione passato mezzogiorno, poi in casa è tutto un proporre cosa facciamo per pranzo e dove andare a mangiare… io invito per un giapponese, Enrique dice che non gli piace il sushi ma ovviamente bisogna mangiare quello che fa piacere alla festeggiata. Prendiamo in considerazione un ristorante italiano, uno cinese, uno arabo e poi ritorniamo al giapponese, tanto Enrique mica deve ordinare per forza il sushi, ci sono altri piatti, e dobbiamo stare leggeri perché la sera siamo invitati a casa di mio zio Gigino per il tè con l’altro figlio di mia nonna e il resto della sua famiglia.
Nel tempo che mia nonna si sistema per uscire viene fuori che, più che il sushi, ha voglia di mangiare pesce sì, crudo anche, ma peruviano, il ceviche peruviano. E io conosco un buon ristorante peruviano qui a Santiago vicino all’appartamento di Antonieta, la responsabile nazionale del Movimento Raeliano. Ma mia nonna lo vuole pure vicino a casa, e allora giù di internet e Google ne rintracciamo uno proprio qui a duecento metri. Quando arriviamo sono quasi le quattro, facciamo appena in tempo a ordinare che la cucina chiude.
Ma è tutto per il meglio. Il ristorante vuoto, tranquillo, con il personale (quello rimasto), tutto per noi. Il servizio è eccellente, il personale è tutto composto da peruviani – i peruviani non sono cafoni come i cileni… – e la qualità dell’attenzione è elevatissima, una spanna sopra a qualunque cosa abbia potuto vedere in Italia, basti con il dire che non abbiamo mai dovuto chiamare i camerieri, i loro interventi e le loro domande sui nostri bisogni erano “invisibili” quando parlavamo tra noi e cordiali ed estesi quando invece parlavamo con loro, ci hanno consigliato a meraviglia su ciò di cui avevamo voglia e senza bisogno di farsi dire niente hanno indovinato con sicurezza che quello a cui passare il conto ero io. Alla fine avevo chiesto un dessert per me, qualcosa che si chiama Suspiro de Limeño, e, sempre senza bisogno di farsi dire niente, il cameriere ha avuto l’accortezza di metterlo al centro del tavolo con 3 cucchiai.
Il cibo in sé poi era squisito, le porzioni così abbondanti che abbiamo fatto uno sforzo per mangiare tutto. La presentazione dei piatti era semplicemente spettacolare, il ceviche di mia nonna sembrava una coppa da cocktail tropicale con delle figure umane fatte di frutti di mare piazzate su spiedini sopra e un giardino di agrumi e frutta intorno. Enrique si è fatto consigliare un filetto di pesce in una sorta di crema al formaggio, ma non era un filetto qualunque cotto al forno, era accuratamente pulito da qualsiasi lisca e riempito con paté di granchio… credo che sia il pesce più buono che abbia mai mangiato… eh sì, perché le porzioni erano così abbondanti che abbiamo potuto assaggiare tutti di tutto. Io avevo una frittura mista accompagnata da cipolla cruda, i tipici mais paruviani (quello bianco, quello viola, quello tostato, quello gigante…), una salsa di erbe e maionese con alberelli di prezzemolo, e fettine di limone di pica, quello con cui si fa il mojito. E a proposito di aperitivi, mia nonna e io ci siamo fatti portare dei pisco sour, fatto con pisco, limone di pica, zucchero e albume frullato. Quello è il cocktail tipico del Cile, come anche il pisco è il distillato tipico nazionale. Epperò, un po’ come accade tra Italia e Francia riguardo a certi formaggi e certe bevande, la nazionalità di pisco e del pisco sour è contesa tra Cile e Perù. Ma con un minimo di onestà, pure i cani sanno che il pisco originale e di miglior qualità è peruviano, e i loro pisco sour sono di gran lunga i migliori.
In fine, il Suspiro de Limeño è il mio dessert favorito da un anno a questa parte. È una crema semiliquida fatta di dulce de leche, che qui in Cile chiamiamo manjar, frullato con latte condensato e succo di limone e guarnito da una meringa fresca e cremosa che si fa con albume e sciroppo di zucchero fuso. Tutto eccezionale, il migliore suspiro de limeño della mia vita… e il vino… eh, anche il vino era ottimo, ma perché era cileno, almeno su questa specialità gastronomica possiamo primeggiare a mani basse con i peruviani, e secondo me ne abbiamo abbastanza per prendere a randellate sulle chiappe addirittura i francesi.
Anche l’ambiente era splendido, con una musica tipica del Perù in sottofondo, discreta a amabile come i camerieri. I valzer peruviani sono meravigliosi, si tratta di folclore sudamericano, nulla a che vedere con il valzer europeo, tranne la ritmica in tre quarti. E l’arredamento e le decorazioni, tutto disegnato con uno stile che richiama l’architettura Inca, con profili che imitano pietre intagliate, colorazioni giallo oro andino, messe con gusto e senza esagerare, punti luce a creare effetti di profondità in mezzo a finti passaggi, e dipinti su rilievi in gesso e calce fatti appositamente per adattarsi alle pareti, e addirittura agli angoli del locale, che rappresenta scene della tradizione e dell’archeologia peruviane come Cuzco e il Machu Picchu.
Penso di tornarci con la macchinetta fotografica per poter condividere quell’esperienza visiva.